T
e r r a g r a
opalescenti dei miei mari.
E’
l’antico canto delle Sirene che ammaliarono Ulisse ed io, novello
Odisseo, mi lascio andare e le Moire non compiranno scempio né
Cariddi m’attenderà sulle frange dell’onde che mi rovesceranno
nel ventre di Scilla.
Là
le fauci degli immondi animali perderanno gli acuminati denti e
lingue fedeli lambiranno le ferite che la furia delle maree avrà
inciso sulla mia pelle.
Stringerò
in un abbraccio senza tempo miti e leggende suggendo il nettare
stillato delle laboriose mani del contadino poeta che giace ai piedi
del fico teneramente avvinto alla vite.
“ Il
caldo alito
infoca le stoppie lascia polvere dorata
su scheletri di barche.”
TERRANTICA
Cammino sui sentieri, ora piani ora scoscesi, che hanno
fermato il passo di Italo, signore e padrone di
tutte le genti con la
fermezza della mano e la saggezza della parola.
Italia
si è così nominata la mia terra e tale epitaffio le fu strappato
dallo stivale tutto che, con un pedatone, l’ha ricacciata in fondo
in fondo, sino alla punta! Le colline, sinuose o aspre, si ricoprono
due volte l’anno d’un vello verde intenso che poi scolora. I
monti ospitano pini ed abeti secolari, altipiani fecondi e laghi
cilestrini appena increspati dai venti che zufolano tra boschi di
faggi e castagni.
Le
costiere irregolari mostrano distese sabbiose piatte presto
inghiottite da scogliere impettite che guardano truci il frangersi
delle onde, la cui spuma ribolle in un gorgoglio di bollicine. Il
mare, ancora più antico, come un forziere, cela antichi tesori che
solo raramente vedono il sole: vecchie carcasse di navi, lampade
votive, ampolle, forzieri …
Enotri,
greci, romani ed ancora saraceni, bizantini, aragonesi: genti, genti
che hanno conquistato, distrutto, costruito, distrutto, conquistato
con furia. Provata e prostrata, così la mia terra. Le pietre,
consumate dal tempo e dalla salsedine, osservano, sbigottite e
rigide, l’ombra del mio piede.